Carenza di vitamina D e depressione

Vitamina D e Depressione

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Carenza di vitamina D e depressione

Molti studi in tutto il mondo stanno cercando di valutare se bassi livelli di Vitamina D possono essere correlati allo sviluppo di Depressione.
Sono in questo periodo in corso numerosissime ricerche scientifiche sul ruolo della Vitamina D nella salute umana, negli ultimi anni più studi sono stati fatti e pubblicati su questa vitamina che riguardo a qualsiasi altra.

Al momento non vi sono ancora prove univoche e del tutto soddisfacenti ma alcuni di questi studi segnalano che, in particolare nei soggetti predisposti o vulnerabili, un basso livello di Vitamina D può essere una concausa nello sviluppo di Depressione.

La correlazione in questo senso è peraltro già nota per altre condizioni cliniche, non è certo il deficit di vitamina D che causa la malattia, ma in queste patologie è invariabilmente riscontrabile un basso livello serico di questa vitamina.

Si sta, infatti, evidenziando sempre più una carenza di vitamina D in patologie neurologiche come la Demenza di Alzheimer, il Morbo di Parkinson e la Sclerosi Multipla, in patologie autoimmuni come l’Artrite Reumatoide, nel Diabete insulino-dipendente, nell’infarto e anche nella depressione.
Nella Sclerosi Multipla è stato dimostrato che un’insufficiente esposizione ai raggi solari e un’ipovitaminosi D sono direttamente correlate allo sviluppo di depressioneansia, e deficit cognitivi, questi sintomi cioè compaiono più frequentemente nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla che presentano ipovitaminosi D.
Nel morbo di Parkinson è stata accertata una correlazione tra livelli di Vitamina D e performance cognitive come la memoria verbale, e altre funzioni cerebrali. In effetti, recettori per questa sostanza sono presenti nel cervello e, in studi su animali, si è dimostrato il ruolo della vitamina D nei processi di sviluppo neurologico verosimilmente dovuto alla regolazione di fattori neurotrofici.
Sgombriamo innanzitutto il campo da una semplicistica conclusione: questo non vuole assolutamente dire che queste patologie possano essere curate o prevenute attraverso la sola integrazione di Vitamina D.

Essendo però la depressione una malattia multifattoriale, trovo interessante divulgare le nozioni che stanno diventano sempre più numerose ed approfondite sui molteplici aspetti che possono rappresentare un fattore di rischio e che, se corretti, possono condurre ad una salute generale migliore. Si tratta di quell’insieme di FATTORI EPIGENETICI che modulano la frequenza di comparsa di malattia, nonostante il nostro patrimonio ereditario.

Sono molte le ipotesi sulla genesi della depressione che gli studi scientifici stanno approfondendo per chiarire i molteplici fattori che determinano la comparsa della malattia, tra questi  molti approfondimenti riguardano la Vitamina D.
Questo modo di vedere le cose è un po’ lontano dall’approccio classico del nostro modo di fare medicina, anche se oramai è frequente anche nelle strutture pubbliche l’utilizzo di approcci di terapia che fino a pochi anni fa venivano considerati poco ortodossi. Già in alcuni reparti di cura e studio della Depressione, ad esempio, sono prescritti gli Omega 3 in associazione ai farmaci antidepressivi, questo per il potere protettivo antiossidante e antiinfiammatorio di questi acidi grassi.

La medicina tradizionale è sicuramente molto efficace nella depressione, grazie  ai serotoninergici e ad altre molecole con valenza antidepressiva questa malattia è in realtà assolutamente ben curabile e guaribile. Nulla vieta però di avere una visione più ampia e di affiancare al buon utilizzo di una terapia medica farmacologica anche un insieme di correzioni sullo stili di vita che possono essere importanti al fine di migliorare lo stato di salute e di resistenza allo sviluppo di malattia.

Mentre sono noti a tutti gli effetti benefici della vitamina D sullo sviluppo dello scheletro e sul metabolismo osseo e i danni causati da una sua carenza, come il rachitismo o l’osteoporosi, è meno nota ai non addetti ai lavori l’associazione tra alcune patologie e la carenza di questo elemento.

Negli ultimi decenni la depressione è aumentata in modo considerevole, questo certamente è dovuto a numerosi motivi e tra questi certo è che anche la nostra esposizione ai raggi solari è  ridotta in modo considerevole rispetto al passato.
Il passaggio da una vita rurale ad una vita cittadina e quindi da un lavoro all’aria aperta ad un lavoro svolto al chiuso, nonché la assoluta necessità di esporsi ai raggi solari in modo consapevole, utilizzando protezioni adeguate, è in parte responsabile dei bassi livelli di vitamina D che si riscontrano nella popolazione generale. Uno studio recente condotto in Italia, ed in particolare nella regione Campagna, ha messo in luce una percentuale di soggetti con un livello più basso del range di normalità superiore al 60%, con circa il 15% dei soggetti che presentano un deficit grave, pur in assenza di sintomi. Il dosaggio del livello nel sangue di questa sostanza è un test che viene raramente richiesto dal medico a meno di casi specifici, come nella valutazione e il trattamento dell’osteoporosi in menopausa.

Sono proprio i raggi UVB che permettono di sintetizzare la forma attiva di Vitamina D, i raggi UVA sono invece i responsabili dei fenomeni di danneggiamento del DNA e stress ossidativo collegati all’invecchiamento e al danno cutaneo.

È ovvio che di fronte ad un paziente con Depressione Maggiore, si deve ricorrere all’utilizzo del farmaco, questo però non dovrebbe rimanere l’unico consiglio terapeutico. Almeno a mio parere, lo psichiatra dovrebbe poter indicare al paziente, nelle diverse fasi della malattia e del suo decorso, altre strategie collaterali di supporto dell’organismo, che si trova in una situazione di disequilibrio e stress, strategie che da sole non possono certo risolvere e curare la patologia ma che rappresentano, nel loro insieme, un aiuto essenziale all’omeostasi del nostro corpo e alla nostra salute.

L’ipovitaminosi D è molto frequente nei malati di depressione e il grande numero di studi scientifici attualmente in corso è orientato proprio a valutare se ciò può essere un marker biologico di vulnerabilità alla depressione.
Allo stato dell’arte gli studi suggeriscono una possibilità in questa direzione che sarà quindi ulteriormente approfondita nei prossimi anni. D’altronde la supplementazione di vitamina D è già indicata per altre patologie nelle quali non rappresenta l’unico presidio terapeutico o preventivo.

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