Neuroinfiammazione e neurodegenerazione

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Neuroinfiammazione e neurodegenerazione

 

Esiste una relazione tra la neuro-infiammazione e Depressione?

 

Negli ultimi anni questo argomento è diventato oggetto di ricerca di moltissimi studi clinici che stanno evidenziando la correlazione tra malattia depressiva e danno infiammatorio sistemico, localizzato quindi anche a livello del cervello.

Questo campo di studio porterà verosimilmente in futuro a nuove conoscenze scientificamente provate e alla possibilità di intervenire per ridurre l’incidenza di depressione, prevenendo l’insorgenza e le ricadute, attraverso l’integrazione di farmaci antidepressivi con altre strategie efficaci per il mantenimento della salute fisica e mentale.

Lo studio della correlazione tra patologia e infiammazione avviene già in tanti altri campi della medicina, ad esempio in neurologia per le malattie neurodegenerative come la Demenza, il Parkinson, la Sclerosi Multipla o in cardiologia rispetto alle patologie cardiovascolari come l’infarto.

Innanzitutto cominciamo col dire che l’infiammazione è solo uno dei molteplici meccanismi patogenetici della depressione e che questa infiammazione è sistemica, interessa cioè tutto l’organismo.

A livello del Sistema Nervoso Centrale (encefalo) determina l’alterazione del funzionamento delle vie che utilizzano i neurotrasmettitori, favorendo l’insorgenza di sintomatologia psichiatrica.

D’altronde anche la Depressione va considerata come una malattia sistemica, molti dei sintomi presenti nelle fasi depressive riguardano infatti il soma, il corpo.

L’encefalo, essendo un organo ad alto metabolismo, produce una grande quantità di radicali liberi, è quindi sottoposto ad un elevato stress ossidativo che possiamo modulare promuovendo stili di vita adeguati e sani che riducano i danni da radicali liberi e contrastino forme di invecchiamento patologico, rallentando la degenerazione e poi la morte nei neuroni.

I radicali liberi possono essere descritti come molecole altamente reattive, derivanti dal metabolismo, che danneggiano i neuroni.

Si parla di LOW GRADE INFLAMMATION ossia infiammazione cronica di basso grado che è una condizione nella quale l’organismo e le cellule che lo compongono vivono uno stato di sofferenza che, se protratto nel tempo, può causare danni cellulari e dare il via a modifiche sia funzionali che strutturali dell’encefalo con la comparsa di sintomi e di patologia.

 

È stato evidenziato che in corso di Depressione vi è un aumento di alcune molecole che si chiamano CITOCHINE e che sono i mediatori dell’infiammazione, soprattutto l’Interleuchina 6 e TNF.

Per mediatori si intende molecole che vengono prodotte e rilasciate nel circolo sanguigno in corso di infiammazione e che possono essere dosate valutando se i loro livelli sono fisiologici o indicano uno stato di sofferenza infiammatoria.

A livello dell’encefalo la neuro-infiammazione cronica danneggia i neuroni, alterando la comunicazione corretta tra le cellule e generando sintomi che influenzando negativamente la salute cognitiva.

 

Da che cosa è determinata l’Infiammazione Cronica di Basso Grado?

 

Tutti i processi biologici che si svolgono nel nostro organismo e che generano la vita sono processi “infiammatori”. Attraverso questi le nostre cellule e il nostro intero organismo si rimodellano continuamente e mantengono uno stato di equilibrio e di omeostasi che caratterizza lo stato di salute.

L’invecchiamento è un processo biologico naturale e inevitabile ma l’obiettivo è quello di ritardare e modulare i processi degenerativi e rallentare il declino fisico e cognitivo.

Le nostre cellule muoiono e si rigenerano in continuazione dando luogo ad un movimento biologico armonico che se funziona bene caratterizza lo stato di salute.

Tendenzialmente con il passare del tempo l’organismo perde gradualmente la sua capacità di contenere al giusto livello questi processi infiammatori, l’età stessa è causa di un aumento della infiammazione sistemica, una delle cause dei processi di invecchiamento.

Fortunatamente la nostra salute e la nostra tendenza ad ammalarci non sono soltanto determinate dai nostri geni ma anche dagli stili di vita, che influenzano attraverso meccanismi epigenetici l’espressione del nostro DNA.

Adottare stili di vita sani sul piano della nutrizione con una alimentazione antiinfiammatoria ricca di frutta, verdura, acqua, cereali integrali e proteine di origine vegetale, nonché sul piano dello svolgimento costante di una attività fisica rappresentano valide strategie antiinfiammatorie e antiaging.

Nei paesi occidentali industrializzati in cui il cibo viene prodotto in allevamenti e culture intensive ed è fortemente raffinato e lavorato a livello industriale, gli alimenti sono ultraprocessati, ricchi di zuccheri e altre sostanze dannose.

Gran parte delle patologie potrebbero essere contenute con una seria attenzione alla dieta e alla attività fisica.

Una dieta adeguata riduce la produzione di radicali liberi, riduce lo stato infiammatorio, apporta vitamine e acidi polinsaturi (omega 3) utili per il trofismo delle cellule e per la produzione dei neurotrasmettitori, supportando le funzioni cognitive (memoria, attenzione e concentrazione) e il tono dell’umore.

Lo stesso dicasi per l’attività fisica svolta con costanza.

Durante lo sforzo fisico ad esempio vengono prodotte citochine che contrastano l’infiammazione e l’ormone della crescita (GH) che, nell’adulto, serve per ristrutturare i tessuti e le cellule danneggiate.

In aggiunta a ciò tutte le modalità per gestire lo stress cronico riducono lo stato infiammatorio.

Certo, tutto ciò non si può ottenere con il semplice gesto di assumere “una pillolina”, ma richiede un vero e proprio cambiamento profondo del modo in cui pensiamo a noi stessi, alla qualità della nostra vita e deve essere sorretto da una motivazione forte e costante.

Negli stili di vita vanno anche menzionati i comportamenti sociali; interagire con gli altri, mantenere relazioni significative ed interessi condivisi, stimolare la mente leggendo e sottoponendosi sempre a nuovi stimoli evitando una routine che certo rassicura ma non aiuta a mantenere una mente vivace e flessibile.

La depressione è una malattia che può insorgere a qualsiasi età.

È anche vero che spesso i soggetti anziani hanno più fattori di rischio, non solo biologici ma anche contestuali. La perdita del coniuge o del ruolo sociale lavorativo, la lontananza dei figli, l’isolamento e anche le patologie mediche e la difficoltà a muoversi.

Spesso nel soggetto anziano i sintomi depressivi vengono sottovalutati e attribuiti all’invecchiamento con il risultato che a volte non viene impostata una terapia di supporto efficace.

Per questo nell’anziano la depressione richiede un approccio su più fronti, sebbene sia proprio questa l’età in cui culturalmente ci si affida maggiormente al farmaco e risulta difficile il cambiamento di stile di vita.

Per questo è indispensabile impostare questi cambiamenti in anticipo, preventivamente, cambiare una abitudine quando questa è strutturata da anni è una impresa davvero difficile.

In generale dobbiamo dire che la depressione è una malattia complessa in cui si attivano diversi fattori patogenetici, alcuni di natura biologica altri di natura psicologica e certamente alcuni fattori non sono stati ad oggi del tutto individuati.

È quindi una condizione che richiede strategie integrate sia per la prevenzione che per la cura degli episodi acuti il controllo delle ricadute, con un approccio che si realizzi in modo da utilizzare le diverse strategie ad oggi note.

Quando la sintomatologia influisce in modo significativo sulla vita del paziente e sulla sua realizzazione personale e professionale è opportuno rivolgersi agli specialisti del campo e richiedere un consulto psichiatrico o psicologico, due approcci che nella depressione devono spesso essere integrati.

Cristina

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